Riflessioni sullo Yoga

Dalla mia newsletter. 

Esperienza o conoscenza 

Leggevo l’altro giorno un estratto di un discorso di Paramahansa Yogananda che vi riporto qui, per poi riflettere insieme:

“Credenza e esperienza sono due cose totalmente differenti. Una credenza proviene da ciò che avete udito o letto e accettato come tatto, ma l’esperienza e qualcosa che avete effettivamente percepito. Se non aveste mai assaggiato un’arancia, potrei ingannarvi sulle sue caratteristiche, ma se ne aveste già mangiata una, non potrei farlo. Avendone fatto l’esperienza, voi sapreste.”

Ebbene, a cosa diamo più importanza nel nostro quotidiano?

All’esperienza diretta che facciamo, o alle conoscenza che acquisiamo, tramite i libri, i siti web, i giornali…

L’esperienza diretta, ci permette di avere un bagaglio di informazioni impareggiabile rispetto alla conoscenza intellettuale.

Certo, anche lo studio e l’informazione sono fondamentali, nel percorso spirituale come nella vita quotidiana. Ma tutto quello che leggiamo, studiamo ed intellettualizziamo, non può essere compreso appieno, a fondo, e in modo totale, se non ne facciamo anche esperienza diretta.

… (continua)

La via del cuore

Quante volte, ci troviamo di fronte al conflitto fra il materiale, e lo spirito?

Fra il voler vivere tutto della vita che abbiamo, completamenti coinvolti nel mondo, e il desiderio di uscirne, allontanarci dai problemi, da tutto quello che ci viene lanciato addosso dall’universo, senza che lo si possa controllare.

Per quanto mi riguarda, questo accade ogni giorno!

Ogni giorno vivo la dualità fra il godere della bellezza della vita, delle emozioni, le passioni, le gioie, le esperienze (e le conseguenti controparti negative: dolore, caos, paure). E il desiderio di uscirne, di vivere in una dimensione protetta, controllata, dell’anima.

E se vi dicessi che non si deve scegliere?

Che è possibile vivere appieno la vita, rimanendo in quella dimensione spirituale tutto il tempo?

Questo è la via del cuore, la via della devozione, che ci insegna il Tantra Yoga.

Nel Tantra infatti, tutto quello che viviamo con il corpo, legato al momento materiale, alle fluttuazioni emotive e mentali, non viene demonizzato, non lo si vuole trascendere e mettere da parte.

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Una lotta amorevole

Questo momento storico sta mostrando fortemente, la necessità di ritrovare le radici in un senso di comunità e collettività che sempre più andiamo perdendo, ma di cui sempre più abbiamo bisogno.

Paradossalmente, questo lo trovo estremizzato nelle realtà legate allo yoga e alla spiritualità dove spesso e a malincuore, mi accorgo che filosofie e pratiche millenarie, vengono semplificate, estratte dal loro contesto, e usate a fini utilitaristici ed egoici come uno strumento in più per avere successo, essere più performanti o saper gestire le proprie vite fondate su principi autodistruttivi.

Lo Yoga ci mette a confronto con aspetti scomodi del nostro essere, perché andiamo in profondità, oltre la superficie di ciò che è bello mostrare o che ci fa fatica vedere. Ma se di fronte a questo sentire scomodo, guardiamo dall’altra parte coprendoci il volto con la maschera del benessere fasullo, perdiamo senso oltre che umanità.

Dico questo perchè in un momento storico in cui siamo costretti a confrontarci con il nostro sentire più profondo, di fronte a una tragedia umanitaria che non possiamo più negare, tante, troppe persone (anche e soprattutto nel mondo dello Yoga), hanno scelto di non esporsi, usando come baluardo il “good vibes only” che altro non è che la concretizzazione di quanto espresso prima. Una strumentalizzazione di un pensiero complesso, a fini utilitaristici.

Ma la vita, e la pratica, sono molto più complessi di così.

Lo Yoga è una filosofia di vita che ci guida verso l’autodeterminazione, attraverso la liberazione personale.  Questo accade tramite un profondo lavoro di realizzazione collettiva.

Se io chiudo gli occhi e mi tappo le orecchie mentre tutto attorno a me crolla, forse c’è qualcosa che non va.

E questo non significa sentirsi in colpa, mortificarsi o smettere con la nostra pratica, e la nostra vita, per immolarci a cause maggiori.

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Elogio degli ostacoli

Leggevo in questi giorni un libro di racconti e aneddoti di Alejandro Jodorowsky e mi sono imbattuta in questa metafora che mi ha colpito molto:

“Un cieco piange in mezzo al deserto con il suo bastone bianco: non riesce a trovare la strada perché non ci sono ostacoli.”

Quante volte ci scoraggiamo, ci arrabbiamo, o ci lamentiamo degli ostacoli che troviamo nel nostro quotidiano. Vorremmo che scorresse sempre tutto liscio. Senza problemi, complicazioni, con facilità.  Ma siamo sicuri che una vita senza sfide possa essere davvero migliore?

Personalmente, per quanto sia ogni volta difficile e faticoso affrontare le sfide che la vita mi porta, non c’è una singola volta, in cui non sia stata grada di averla avuta.

La trasformazione profonda che accade grazie alle esperienze che facciamo ogni giorno è incredibile. Come potremmo conoscere, scoprire, vivere davvero la vita che abbiamo, se non ci confrontassimo con degli intoppi che ci mettono alla prova?

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Oltre le polarità

Lo spunto di oggi viene dall’etimologia del termine Hatha (Hatha Yoga). “HA” in sanscrito significa Sole e “THA” Luna.

Perchè è importante questo significato nella pratica Yoga?

Tramite Hatha Yoga riequilibriamo sole e luna in noi. Ovvero il sistema nervoso simpatico e parasimpatico, eliminando gli eccessi di agitazione o del suo opposto, ritornando a uno stato di perfetta centratura. Questo accade sia tramite la pratica delle Asana, se fatta in modo completo, lavorando in modo equilibrato con questi due sistemi, sia con il Pranayama.

In particolare, una pratica specifica chiamata Nadi Shodhana, vede la respirazione alternata fra la narice sinistra (detta lunare) e la destra (detta solare) con un effetto incredibilmente rigenerante.

Equilibrare sole e luna in noi significa anche, e soprattutto, riconoscere e rispettare i momenti solari e quelli lunari. Come la luna, attraversiamo delle fasi. Conoscersi, riconoscerle, ci permette di vivere in perfetto allineamento al flusso della vita.

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Il sapere del cuore

La riflessione di questo mese parte da questo estratto dal Libro Rosso di Jung:

Ma come posso ottenere il sapere del cuore? Puoi raggiungerlo soltanto vivendo pienamente la tua vita. Tu vivi appieno la tua vita, se vivi anche quello che non hai ancora vissuto, ma che soltanto ad altri hai lasciato da vivere o da pensare.* Dirai: «Non posso vivere o pensare tutto ciò che gli altri vivono o pensano». Devi dire invece: «Dovrei vivere la vita che potrei ancora vivere e dovrei pensare tutti i pensieri che ancora potrei pensare». Si direbbe che tu voglia fuggire da te stesso, per non dover vivere ciò che finora non hai vissuto.»

Ma non puoi fuggire da te stesso.

Ciò che non hai vissuto resta con te in ogni istante e chiede soddisfazione.

Se ti fai cieco e sordo di fronte a questa esigenza, sarai cieco e sordo verso te stesso. In tal modo non raggiungerai mai il sapere del cuore.

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Una lettera d’amore per l’anima

Quando sei perso, quando vacilli, quando tutto trema. Ricordati, la tua ancora sei tu, hai tutti gli strumenti per essere felice, per amare, per vivere la vita che senti giusta per te. Ascolta, calma il rumore in superficie. Quando tutto è fermo, si ascolta il suono pacato dell’anima. Un suono luminoso, dolce, sereno.

La nostra anima è una parte della luce che la luna riflette, che il sole produce, che il mare assorbe e che il cielo diffonde.

Prova ad entrare in sintonia con questo suono, con questa luce. Il cuore si riempirà di gioia, e nulla ti potrà più far vacillare. Anche quando il corpo trema, la luce è salda, non si affievolisce mai.

Namastè, Clara.

Karma e mettersi in gioco

In questo periodo sto leggendo Il libro rosso di Jung, un trattato profondo e visionario sulla psiche umana dello psichiatra e filosofo svizzero che mi sta dando veramente tanti spunti di riflessione sulla vita, ma anche sulla pratica dello Yoga.

Vi riporto questo estratto da cui è partita la mia riflessione di oggi:

Se non ti capita nessuna avventura all’esterno, non te ne capitano neppure nel tuo mondo interiore. La parte del Diavolo che hai accolto, ossia la gioia, ti procura l’avventura. Lì troverai sia il tuo limite più basso, sia quello più alto. 

Questo ti è necessario per conoscere i tuoi limiti. Se non li conosci, ti muovi entro i confini artificiali della tua immaginazione e delle attese del tuo prossimo. La tua vita però mal sopporta di essere bloccata da barriere artificiali. La vita vuole saltarle, tali barriere, e tu finirai così per entrare in discordia con te stesso. 

Queste barriere non sono i tuoi limiti reali, ma una limitazione arbitraria che compie un’ inutile violenza a te stesso. 

Cerca perciò di trovare i tuoi limiti reali. Non li si conosce mai in anticipo, ma li si vede e li si comprende solo quando li si è raggiunti. Ma anche questo ti accade soltanto se hai equilibrio. 

Privo di equilibrio, travalichi i tuoi limiti, senza accorgerti di cosa ti è successo. L’equilibrio però lo raggiungi soltanto alimentando il tuo opposto. Ma questo ti ripugna intimamente perché non è eroico.

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Essere vulnerabili – la pratica di Isvara Pranidhana

L’altro giorno sono stata ad un incontro con lo scrittore e poeta Franco Arminio.

La sua poetica essenziale e diretta, è di grande ispirazione e favorisce gli insegnamenti del vivere con un’immediatezza disarmante.

Uno dei temi che spesso tratta, e di cui ha ampiamente parlato durante l’incontro, è proprio quello della vulnerabilità.

Essere vulnerabili, mostrarci fragili, aperti – all’altro, ma anche a noi stessi.

Spesso la paura ci chiude, mettiamo delle maschere per evitare di mostrarci, per avere una protezione sicura, perché farci vedere, davvero, spaventa.

Ma perché questa paura?

Paura del giudizio? Paura di sbagliare? Paura di non essere all’altezza?

Ma per chi? Di cosa?

La mia personale risposta a queste domande, è arrivata grazie alla scoperta di Isvara Pranidhana.

Isvara Pranidhana è l’ultimo dei cinque Niyama (osservanze da mantenere nella vita) elencati dal saggio Patanjali negli Yoga Sutra e significa letteralmente abbandono al Divino.

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L’azione è cura

Tempo fa ho scoperto di avere l’antilope come animale guida. Questo animale rappresenta l’azione. Quando l’ho saputo mi sono immediatamente rallegrata. Sia perchè mi sento rappresentata nell’azione, sia perchè l’azione mi ha curata.

L’azione è cura, per uscire dalla mente, dalle paure, dalla rabbia e dalla frustrazione. Agire, muoversi, fare, per arrivare a un risultato ma anche semplicemente per uscire dal circolo vizioso del pensiero autolesionista in cui non ci diamo tregua, fra continue analisi, critiche, insoddisfazioni e ricerche spasmodiche di altro rispetto all’istante che abbiamo.

Fare spesso porta a sbagliare, ma tramite questi sbagli impariamo, diveniamo più saggi e consapevoli. Fare il primo passo è iniziare, non arrivare, ma l’inizio è il principio del viaggio, del provare, del vedere e del sentire, dell’esperienza che è la vita.

Se mi muovo mi apro, vado a vedere cosa c’è la fuori, nel mondo, di diverso da quello che è in me, che ritengo assoluto ma che invece è relativo.

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Allenare la compassione

Quante volte ci è capitato, di trovarci a esprimere un giudizio negativo di getto, verso qualcuno che a malapena conosciamo, ma anche verso noi stessi. “Sono stupido, non valgo nulla, sono sbagliato”. Queste parole che spesso non ci rendiamo neanche conto di ripetere a noi stessi, creano uno strato profondo di verità dentro di noi.

Le parole con cui ci parliamo riflettono come ci comportiamo, perché le interiorizziamo nell’inconscio. Non solo, questo atteggiamento giudicante, riflette anche come vediamo il mondo, l’altro.

L’accettazione, il non giudizio, la compassione, verso noi stessi innanzitutto. Saper fare un passo indietro, chiedere aiuto, riposare. 

Come possiamo accettare la realtà così com’è, senza frustrazione, non giudicare gli altri per le loro scelte e avere compassione verso chi è in difficoltà, se non siamo in grado di farlo innanzitutto con noi stessi? 

Con quali termini ci parliamo? Siamo gentili? Oppure ci critichiamo, viviamo nel senso di colpa per non essere in grado di fare di più, di essere sempre performanti?

Accogliere tutto, così com’è, significa essere in grado di lasciare andare, di guardare le cose con occhi gentili, di abbracciare anche i momenti difficili, di stanchezza e fatica, agendo di conseguenza, parlandoci in modo compassionevole. 

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Siamo davvero liberi di scegliere?

Lo spunto della riflessione di oggi viene da questa conferenza del filosofo inglese Rupert Spira, dove uno dei partecipanti pone un dubbio sulla libertà di azione nella vita: è tutto scritto o siamo davvero liberi di scegliere?

Da questa domanda (e dalla risposta di Rupert), mi viene spontaneo pensare ad uno dei pilastri della filosofia Yoga nei sutra di Patanjali, Abhyasa.

Abhyasa significa azione ripetuta con costanza. Negli yoga sutra questo elemento è la chiave per ottenere risultati spirituali, praticare con costanza. Questo aspetto è però anche fondamentale nella comprensione di quanto spesso non diamo sufficiente importanza alle azioni quotidiane, e al loro potere nel determinare la nostra vita. Ogni azione che svolgiamo, soprattutto se svolta con consapevolezza, abitudine e costanza, ha il potere di determinare la nostra quotidianità, e, soprattutto, il nostro futuro.

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Qual’è il segreto?

Patanjali Yoga Sutra

2.43. – Kaya Indriya Siddhir Asuddhi Ksayat Tapasah

Con l’autodisciplina, le impurità del corpo e dei sensi sono distrutte e si ottiene la perfezione.

– Spesso ci chiediamo se esista un segreto, qualche azione specifica, sconosciuta, una sorta di pillola magica, per raggiungere la serenità, l’equilibrio.

Chi pratica Yoga lo sà, l’unico segreto, che porta a questo stato di equilibrio e serenità permanente, è l’autodisciplina. In particolare, in questo sutra di Patanjali, il segreto descritto è la forza di volontà, la disciplina, l’essere proattivi.

TAPAS (in sanscrito) è un elemento chiave della pratica. Tapas significa bruciare il superfluo, quello che ci porta fuori strada, che ci fa male. Significa intensa autodisciplina, che si mette in atto con la volontà di raggiungere l’illuminazione, di lasciare andare le soddisfazioni del mondo fisico (temporanee ed illusorie) per dedicarci alla vera gioia, quella dell’anima, divina.

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Come eliminare la sofferenza emotiva secondo la visione dello Yoga

In questi giorni ho ricominciato a studiare gli Yoga Sutra di Patanjali. È un testo che mi ha aiutato moltissimo nel mio percorso, di vita e consapevolezza.

Può essere considerato uno dei primi trattati di psicologia per quanto analizza la mente e il comportamento umano. Come chiarisce in modo definito i tipi di sofferenza psicologica ed espone le modalità per risolverle.

Ma la cosa a cui sarò grata sempre in questo testo, è che è pratico. Pone soluzioni chiare e dirette per le nostre sofferenze quotidiane, che nascono dalla mente, dai pensieri, dalle emozioni.

योगश्चित्तवृत्तिनिरोधः॥२॥

yogaś-citta-vr̥tti-nirodhaḥ

l testo inizia con la definizione di Yoga: Lo stato di Yoga (che significa unione – fra la nostra coscienza individuale e quella universale, comprendere quindi che siamo parte di un tutto molto più grande di noi) accade quando vengono eliminati i turbamenti che accadono sul piano mentale ed emotivo.

Facile direte voi, ma come eliminare ciò che ci turba a livello mentale ed emotivo?

अभ्यासवैराग्याअभ्यांतन्निरोधः

abhyāsa-vairāgya-ābhyāṁ tan-nirodhaḥ

“Le perturbazioni della mente possono essere controllate con la pratica costante e il distacco”.

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Aparigraha, libertà è distacco dalle dipendenze esteriori

Per questa estate vi lascio con un pensiero che spero vi possa far riflettere sulle opportunità di felicità quotidiana che abbiamo. Uno degli Yama (precetti) nell’ottuplice sentiero descritto dal saggio Patanjali negli Yoga Sutra è Aparigraha.

Possiamo tradurre questo termine con il significato di contententamento, la capacità di essere sereni con ciò che abbiamo, senza continuamente cercare di più. Il contrario dell’avidità. Questo concetto mi fa molto riflettere sulla sensazione di libertà che spesso tutti cerchiamo.

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Cosa vuol dire essere in armonia con la natura?

Ho trovato l’ispirazione per la newsletter di questo mese da un talk della scrittrice e fondatrice di Atmos Willow Defebaugh, in particolare da questa sua frase:

“Natura è laghi calmi e sole lieve che scalda, ma è anche vulcani che eruttano e tempeste. Essere in armonia con la natura significa essere in grado di abbracciarne gli aspetti nella totalità, i momenti di pace e quelli di rabbia, di pianto, di sconforto.”

Quando si abbraccia un percorso spirituale, come quello dello Yoga, si inizia un viaggio interiore che ci permette di entrare in contatto con la totalità del nostro essere.

Spesso purtroppo la società in cui viviamo non ci prepara ad affrontare, ma soprattutto ad accettare quello che viviamo interiormente. Può capitare di provare senso di colpa, smarrimento, confusione e disperazione.

Per questo è importante avere gli strumenti per comprendere, gestire ed elaborare ogni stato d’animo, pensiero e sensazione che ci capita di sperimentare in questa vita.

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Il potere dell’intuito

In questi ultimi mesi sto seguendo vari seminari e workshop sulle neuroscienze e la loro applicazione allo Yoga. Trovo molto utile avere degli strumenti scientifici per poter spiegare agli allievi cosa accade al loro sistema mentre praticano, aumenta la consapevolezza e toglie il pregiudizio su alcuni aspetti spirituali della pratica che non tutti accolgono.

Quando parliamo di intuito, non sempre abbiamo chiaro a cosa riferirci, tendiamo a intellettualizzare e a cercare una spiegazione mentale alle sensazioni che proviamo, e a quello verso cui veniamo attratti. Ci sembra di non capire fino in fondo, di non poterci fidare.

Per quanto mi riguarda, sono riuscita a capire appieno il potere dell’intuito, grazie alla spiegazione scientifica di questo potenziale.

L’intuito è associato alla “sensazione di pancia”, alle “farfalle nello stomaco”, questo proprio perché il nostro intestino è la sede del sistema nervoso enterico, connesso al sistema nervoso centrale (cervello) dal nervo vago. Il sistema nervoso enterico, ovvero il nostro intestino, è dove il nostro corpo produce il 95% della serotonina (ormone che controlla e regola l’umore, definito “ormone della felicità”).

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Come definiamo la felicità?

Lo scorso weekend ho tenuto un workshop di Hatha Yoga Tantrico, come sempre, i momenti di condivisione sono linfa vitale di ispirazione, creatività ed entusiasmo.

Sono nutrita da questa esperienza da cui estraggo uno spunto di riflessione da lasciarvi.

“Il Tantra dice di si a tutto. Non c’è bisogno di lottare, non c’è neppure bisogno di nuotare nel fiume dell’esistenza; basta lasciarsi trasportare dalla corrente. […]

Dicendo si a ogni cosa, nasce un’accettazione profonda. Come si fa allora a essere infelice? Di che ti puoi lamentare? Tutto è come deve essere.  […]

Non creare conflitti dentro di te, accetta entrambi gli opposti, e, attraverso l’accettazione, avverrà una trascendenza, non una vittoria, ma una trascendenza.”

Estratti da – Tantra, La comprensione suprema di Osho Rajneesh

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L’importanza dell’azione

Oggi vi voglio lasciare questa riflessione con uno spunto tratto dal capitolo 3 della Bhagavad Gita, il principale testo sacro indiano da cui sono tratti i più importanti insegnamenti yogici.

In questo capitolo si parla del Karma Yoga, ovvero lo yoga dell’azione, il più importante credo io per la vita quotidiana nella società, perché ci permette di poter interagire nel nostro quotidiano in modo yogico. Praticando il Karma Yoga, abbiamo l’opportunità di rendere ogni nostra azione Dharmica, ovvero in armonia con le leggi della natura, preservando la nostra madre terra e senza voler fare del male a nessuno, ma piuttosto diffondendo armonia e amore.

«Nessuno può rimanere senza agire neppure per un momento; tutti, che lo vogliano oppure no, sono costretti (dalla Natura) a essere attivi.»

(Bhagavad Gita, III, 5)

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Accogliere tutto

Questo inizio d’anno, più del solito, mi hanno colpita la quantità di messaggi e stimoli presenti in questi giorni sulla cultura della performance e del benessere ad ogni costo. L’inizio di un nuovo anno è sempre stato motivo di porre buoni propositi, ma nell’ultimo periodo, soprattutto da chi si occupa di benessere, noto che questa cosa avviene in modo esponenziale. Per quanto mi riguarda, ricevere così tanti stimoli improntati al migliorarsi, pensare in positivo, visualizzare i nostri ideali, mi ha generato un senso di disagio e inadeguatezza, per cui ho pensato di approfondire questo sentimento ed esporre una riflessione qui con voi.

Il pensiero positivo e l’instaurare un atteggiamento di conseguenza che porti al raggiungimento di un nostro sé migliorato è ovviamente una cosa bellissima e giusta da fare, il disagio e il conflitto che vedo emergere sta però nel voler eliminare tutto il resto per raggiungere questo “scopo”.

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Come usare il corpo per migliorare il nostro stato psicoemotivo?

Inizio con questo ispirante estratto di un grande maestro: Alejandro Jodorowsky.

“La malattia è un conflitto tra la personalità e l’anima. Molte volte, il raffreddore “cola” quando il corpo non piange. Il dolore di gola “tampona” quando non è possibile comunicare le afflizioni. Lo stomaco “arde” quando le rabbie non riescono ad uscire. Il diabete “invade” quando la solitudine duole. Il corpo “ingrassa” quando l’insoddisfazione stringe. Il mal di testa “deprime” quando i dubbi aumentano. Il cuore “allenta” quando il senso della vita sembra finire. Il petto “stringe” quando l’orgoglio schiavizza. La pressione “sale” quando la paura imprigiona. La nevrosi “paralizza” quando il bambino interno tiranneggia. La febbre “scalda” quando le difese sfruttano le frontiere dell’immunità. Le ginocchia “dolgono” quando il tuo orgoglio non si piega. Il cancro “ammazza” quando ti stanchi di vivere. La malattia non è cattiva, ti avvisa che stai sbagliando cammino.”

…(continua)

 

L’accento sull’intenzione

In questi giorni ho avuto la possibilità di partecipare allo Yogafestival, dove ho assorbito numerosi stimoli e insegnamenti da grandi maestri che mi porto nel cuore. In particolare voglio condividere con voi un breve pensiero derivante da un incontro dedicato proprio al Pranayama con Antonio Nuzzo. Prima di portare avanti qualsiasi azione, qualsiasi pratica, soprattutto quelle yogiche, dedichiamoci qualche istante a pensare all’intenzione con cui ci approcciamo queste pratiche. Come afferma Antonio, è l’intenzione che colora l’azione, e noi, di cosa vogliamo colorare le nostre azioni? Di competizione, performance, accrescimento dell’ego, oppure di gentilezza, tenerezza, amorevolezza.

…(continua)

Un’occasione per incontrarsi

Sabato 2 dicembre terrò un workshop di Vinyasa Yoga a Milano, presso l’Associazione La Comune. Impareremo le basi e gli elementi fondamentali della pratica Vinyasa, nella tradizione di Tirumalai Krishnamacharya.

Questa splendida pratica, considerata una danza meditativa in movimento, permette di fluire da un’asina ad un’altra, in modo dinamico, permettendo al corpo di scaldarsi e alla mente di restare focalizzata sul momento presente. Il workshop e aperto e adatto a tutti!

“Le asana armonizzano il corpo per la meditazione, proprio come una chitarra viene accordata prima di suonare.”

Namastè, vi aspetto!

L’importanza dell’azione

Oggi vi voglio lasciare questa riflessione con uno spunto tratto dal capitolo 3 della Bhagavad Gita, il principale testo sacro indiano da cui sono tratti i più importanti insegnamenti yogici.

In questo capitolo si parla del Karma Yoga, ovvero lo yoga dell’azione, il più importante credo io per la vita quotidiana nella società, perché ci permette di poter interagire nel nostro quotidiano in modo yogico. Praticando il Karma Yoga, abbiamo l’opportunità di rendere ogni nostra azione Dharmica, ovvero in armonia con le leggi della natura, preservando la nostra madre terra e senza voler fare del male a nessuno, ma piuttosto diffondendo armonia e amore.

«Nessuno può rimanere senza agire neppure per un momento; tutti, che lo vogliano oppure no, sono costretti (dalla Natura) a essere attivi.»

(Bhagavad Gita, III, 5)

«Compiere il proprio dovere, perfino senza successo, è meglio che compiere con successo il dovere di qualcun altro. […] .»

(Bhagavad Gita, III, 35)

…(continua)

 

Cosa vuol dire essere liberi

Lo spunto per questo approfondimento viene dall’ascolto di una masterclass di Sharon Gannon (cofondatrice insieme a David Life del Jivamukti Yoga). Mi piace sempre citare gli spunti delle riflessioni cosicché ognuno possa in autonomia approfondire a propria volta e magari trarre delle intuizioni proprie, scrivetemi pure se avete pensieri da condividere, sono felice di ascoltarvi.

Per quanto mi riguarda vorrei far emergere un aspetto importante della pratica yogica, ovvero Viveka, il discernimento.

Sharon in questa masterclass porta l’attenzione sulla problematica legata ai pregiudizi, ai preconcetti, e questo mi fa immediatamente pensare all’automatismo in cui spesso ci troviamo a vivere, compiendo delle scelte sulla base di un sistema che va da solo, seguendo ciò che viene fatto dagli altri, senza porci domande.

…(continua)

La cultura dell’accettazione

Lo spunto di riflessione di oggi parte da una bellissima intervista a Maty Eztraty, che è stata un’insegnante di Yoga visionaria, nonché discepola di K. Pattabhi Jois. Maty, in un passaggio dell’intervista, si sofferma su una riflessione brutale ma molto vera verso la popolazione occidentale e la differenza nei confronti  della cultura orientale e induista. Da questo lato del mondo noi siamo abituati a vedere noi stessi con uno sguardo autocritico, giudicante, colpevolizzante. Per noi è normale vedere noi stessi in modo negativo, trovare continuamente difetti, criticarci, non sentirci mai abbastanza. Ecco, questo non accade nella cultura indiana, non è un tipo di mindset culturale che esiste nella loro tradizione culturale.

…(continua)

Il respiro, la nostra forza vitale

Parto da un estratto preso da uno dei principali testi di riferimento sullo Yoga universalmente riconosciuti, l’hathayoga-pradīpikā (Svātmārāma; XV secolo), che ho approfondito questa estate, e che espone in maniera estremamente chiara e diretta un concetto chiave:

Noi siamo il nostro respiro.

HYP 2.2

“Quando il respiro è instabile, la mente è instabile; quando il respiro è stabile, la mente è stabile e lo yogin raggiunge la stasi: perciò è necessario controllare il respiro.”

HYP 2.3

“Si dice che c’è vita fintanto che nel corpo c’è il soffio vitale; la morte è la sua fuoriuscita: perciò bisogna bloccare il soffio vitale.”

…(continua)

 

Cosa vuol dire meditare

Questa estate ho letto alcuni libri per approfondire meglio il tema della meditazione. In particolare ho approfondito la scrittrice, poetessa e maestra di meditazione Chandra Livia Candiani, che, con il suo libro “Il silenzio è cosa viva” espone in modo molto immediato e diretto quello che per molti resta un concetto difficile da afferrare, ovvero: Cosa vuol dire meditare?

Spesso nell’immaginario comune la meditazione viene vista come un momento in cui tutti i pensieri vengono messi a tacere, dove si resta in silenzio, in uno spazio di vuoto mentale ed emotivo. Non potrebbe esserci nulla di più lontano invece, dal vero significato della meditazione, che credo si esprima al meglio con questa citazione tratta dal suo libro: …(continua)

Il modello del mito

In questi giorni sto leggendo un bellissimo libro di Krishnamurti che mi sta aprendo davvero tante porte di riflessione e introspezione, una in particolare che penso possa ispirare anche voi. Si tratta di un capitolo che riflette sul modello del mito.

Di cosa si tratta?Il modello del mito rappresenta il conflitto fra ciò che è e ciò che vorremmo che fosse, l’utopia, l’irreale, ciò che non esiste. Secondo questa considerazione infatti, di fondamentale importanza nella visione Yoga, l’elemento che ci porta alla sofferenza è il contrasto tra il reale e il mito, ovvero tra la realtà di ciò che siamo e quello che viviamo, e di ciò che vorremmo essere, o che ci immaginiamo dovrebbe essere, l’utopia. Il mito rappresenta un’evasione da ciò che siamo, un ideale, senza riscontro nella realtà…(continua)

Il riflesso di ciò che siamo

Questa mattina ascoltavo una conferenza di Krishna Das da cui mi è rimasto impresso un passo legato alla percezione che abbiamo del mondo in relazione ai nostri pensieri. In particolare, la riflessione evidenziava come la nostra visione delle cose e delle persone non sia oggettiva, ma rifletta ciò che noi siamo o pensiamo in quel momento. Ad esempio, se abbiamo una mente giudicante, crederemo che anche gli altri ci guardino in modo giudicante, presupponendo che tutti agiscano o pensino come noi siamo abituati a fare….(continua)

 

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