Riflessioni sullo Yoga

Dalla mia newsletter. 

Cosa vuol dire essere in armonia con la natura?

Ho trovato l’ispirazione per la newsletter di questo mese da un talk della scrittrice e fondatrice di Atmos Willow Defebaugh, in particolare da questa sua frase:

“Natura è laghi calmi e sole lieve che scalda, ma è anche vulcani che eruttano e tempeste. Essere in armonia con la natura significa essere in grado di abbracciarne gli aspetti nella totalità, i momenti di pace e quelli di rabbia, di pianto, di sconforto.”

Quando si abbraccia un percorso spirituale, come quello dello Yoga, si inizia un viaggio interiore che ci permette di entrare in contatto con la totalità del nostro essere.

Spesso purtroppo la società in cui viviamo non ci prepara ad affrontare, ma soprattutto ad accettare quello che viviamo interiormente. Può capitare di provare senso di colpa, smarrimento, confusione e disperazione.

Per questo è importante avere gli strumenti per comprendere, gestire ed elaborare ogni stato d’animo, pensiero e sensazione che ci capita di sperimentare in questa vita.

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Il potere dell’intuito

In questi ultimi mesi sto seguendo vari seminari e workshop sulle neuroscienze e la loro applicazione allo Yoga. Trovo molto utile avere degli strumenti scientifici per poter spiegare agli allievi cosa accade al loro sistema mentre praticano, aumenta la consapevolezza e toglie il pregiudizio su alcuni aspetti spirituali della pratica che non tutti accolgono.

Quando parliamo di intuito, non sempre abbiamo chiaro a cosa riferirci, tendiamo a intellettualizzare e a cercare una spiegazione mentale alle sensazioni che proviamo, e a quello verso cui veniamo attratti. Ci sembra di non capire fino in fondo, di non poterci fidare.

Per quanto mi riguarda, sono riuscita a capire appieno il potere dell’intuito, grazie alla spiegazione scientifica di questo potenziale.

L’intuito è associato alla “sensazione di pancia”, alle “farfalle nello stomaco”, questo proprio perché il nostro intestino è la sede del sistema nervoso enterico, connesso al sistema nervoso centrale (cervello) dal nervo vago. Il sistema nervoso enterico, ovvero il nostro intestino, è dove il nostro corpo produce il 95% della serotonina (ormone che controlla e regola l’umore, definito “ormone della felicità”).

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Come definiamo la felicità?

Lo scorso weekend ho tenuto un workshop di Hatha Yoga Tantrico, come sempre, i momenti di condivisione sono linfa vitale di ispirazione, creatività ed entusiasmo.

Sono nutrita da questa esperienza da cui estraggo uno spunto di riflessione da lasciarvi.

“Il Tantra dice di si a tutto. Non c’è bisogno di lottare, non c’è neppure bisogno di nuotare nel fiume dell’esistenza; basta lasciarsi trasportare dalla corrente. […]

Dicendo si a ogni cosa, nasce un’accettazione profonda. Come si fa allora a essere infelice? Di che ti puoi lamentare? Tutto è come deve essere.  […]

Non creare conflitti dentro di te, accetta entrambi gli opposti, e, attraverso l’accettazione, avverrà una trascendenza, non una vittoria, ma una trascendenza.”

Estratti da – Tantra, La comprensione suprema di Osho Rajneesh

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L’importanza dell’azione

Oggi vi voglio lasciare questa riflessione con uno spunto tratto dal capitolo 3 della Bhagavad Gita, il principale testo sacro indiano da cui sono tratti i più importanti insegnamenti yogici.

In questo capitolo si parla del Karma Yoga, ovvero lo yoga dell’azione, il più importante credo io per la vita quotidiana nella società, perché ci permette di poter interagire nel nostro quotidiano in modo yogico. Praticando il Karma Yoga, abbiamo l’opportunità di rendere ogni nostra azione Dharmica, ovvero in armonia con le leggi della natura, preservando la nostra madre terra e senza voler fare del male a nessuno, ma piuttosto diffondendo armonia e amore.

«Nessuno può rimanere senza agire neppure per un momento; tutti, che lo vogliano oppure no, sono costretti (dalla Natura) a essere attivi.»

(Bhagavad Gita, III, 5)

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Accogliere tutto

Questo inizio d’anno, più del solito, mi hanno colpita la quantità di messaggi e stimoli presenti in questi giorni sulla cultura della performance e del benessere ad ogni costo. L’inizio di un nuovo anno è sempre stato motivo di porre buoni propositi, ma nell’ultimo periodo, soprattutto da chi si occupa di benessere, noto che questa cosa avviene in modo esponenziale. Per quanto mi riguarda, ricevere così tanti stimoli improntati al migliorarsi, pensare in positivo, visualizzare i nostri ideali, mi ha generato un senso di disagio e inadeguatezza, per cui ho pensato di approfondire questo sentimento ed esporre una riflessione qui con voi.

Il pensiero positivo e l’instaurare un atteggiamento di conseguenza che porti al raggiungimento di un nostro sé migliorato è ovviamente una cosa bellissima e giusta da fare, il disagio e il conflitto che vedo emergere sta però nel voler eliminare tutto il resto per raggiungere questo “scopo”.

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Come usare il corpo per migliorare il nostro stato psicoemotivo?

Inizio con questo ispirante estratto di un grande maestro: Alejandro Jodorowsky.

“La malattia è un conflitto tra la personalità e l’anima. Molte volte, il raffreddore “cola” quando il corpo non piange. Il dolore di gola “tampona” quando non è possibile comunicare le afflizioni. Lo stomaco “arde” quando le rabbie non riescono ad uscire. Il diabete “invade” quando la solitudine duole. Il corpo “ingrassa” quando l’insoddisfazione stringe. Il mal di testa “deprime” quando i dubbi aumentano. Il cuore “allenta” quando il senso della vita sembra finire. Il petto “stringe” quando l’orgoglio schiavizza. La pressione “sale” quando la paura imprigiona. La nevrosi “paralizza” quando il bambino interno tiranneggia. La febbre “scalda” quando le difese sfruttano le frontiere dell’immunità. Le ginocchia “dolgono” quando il tuo orgoglio non si piega. Il cancro “ammazza” quando ti stanchi di vivere. La malattia non è cattiva, ti avvisa che stai sbagliando cammino.”

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L’accento sull’intenzione

In questi giorni ho avuto la possibilità di partecipare allo Yogafestival, dove ho assorbito numerosi stimoli e insegnamenti da grandi maestri che mi porto nel cuore. In particolare voglio condividere con voi un breve pensiero derivante da un incontro dedicato proprio al Pranayama con Antonio Nuzzo. Prima di portare avanti qualsiasi azione, qualsiasi pratica, soprattutto quelle yogiche, dedichiamoci qualche istante a pensare all’intenzione con cui ci approcciamo queste pratiche. Come afferma Antonio, è l’intenzione che colora l’azione, e noi, di cosa vogliamo colorare le nostre azioni? Di competizione, performance, accrescimento dell’ego, oppure di gentilezza, tenerezza, amorevolezza.

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Un’occasione per incontrarsi

Sabato 2 dicembre terrò un workshop di Vinyasa Yoga a Milano, presso l’Associazione La Comune. Impareremo le basi e gli elementi fondamentali della pratica Vinyasa, nella tradizione di Tirumalai Krishnamacharya.

Questa splendida pratica, considerata una danza meditativa in movimento, permette di fluire da un’asina ad un’altra, in modo dinamico, permettendo al corpo di scaldarsi e alla mente di restare focalizzata sul momento presente. Il workshop e aperto e adatto a tutti!

“Le asana armonizzano il corpo per la meditazione, proprio come una chitarra viene accordata prima di suonare.”

Namastè, vi aspetto!

L’importanza dell’azione

Oggi vi voglio lasciare questa riflessione con uno spunto tratto dal capitolo 3 della Bhagavad Gita, il principale testo sacro indiano da cui sono tratti i più importanti insegnamenti yogici.

In questo capitolo si parla del Karma Yoga, ovvero lo yoga dell’azione, il più importante credo io per la vita quotidiana nella società, perché ci permette di poter interagire nel nostro quotidiano in modo yogico. Praticando il Karma Yoga, abbiamo l’opportunità di rendere ogni nostra azione Dharmica, ovvero in armonia con le leggi della natura, preservando la nostra madre terra e senza voler fare del male a nessuno, ma piuttosto diffondendo armonia e amore.

«Nessuno può rimanere senza agire neppure per un momento; tutti, che lo vogliano oppure no, sono costretti (dalla Natura) a essere attivi.»

(Bhagavad Gita, III, 5)

«Compiere il proprio dovere, perfino senza successo, è meglio che compiere con successo il dovere di qualcun altro. […] .»

(Bhagavad Gita, III, 35)

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Cosa vuol dire essere liberi

Lo spunto per questo approfondimento viene dall’ascolto di una masterclass di Sharon Gannon (cofondatrice insieme a David Life del Jivamukti Yoga). Mi piace sempre citare gli spunti delle riflessioni cosicché ognuno possa in autonomia approfondire a propria volta e magari trarre delle intuizioni proprie, scrivetemi pure se avete pensieri da condividere, sono felice di ascoltarvi.

Per quanto mi riguarda vorrei far emergere un aspetto importante della pratica yogica, ovvero Viveka, il discernimento.

Sharon in questa masterclass porta l’attenzione sulla problematica legata ai pregiudizi, ai preconcetti, e questo mi fa immediatamente pensare all’automatismo in cui spesso ci troviamo a vivere, compiendo delle scelte sulla base di un sistema che va da solo, seguendo ciò che viene fatto dagli altri, senza porci domande.

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La cultura dell’accettazione

Lo spunto di riflessione di oggi parte da una bellissima intervista a Maty Eztraty, che è stata un’insegnante di Yoga visionaria, nonché discepola di K. Pattabhi Jois. Maty, in un passaggio dell’intervista, si sofferma su una riflessione brutale ma molto vera verso la popolazione occidentale e la differenza nei confronti  della cultura orientale e induista. Da questo lato del mondo noi siamo abituati a vedere noi stessi con uno sguardo autocritico, giudicante, colpevolizzante. Per noi è normale vedere noi stessi in modo negativo, trovare continuamente difetti, criticarci, non sentirci mai abbastanza. Ecco, questo non accade nella cultura indiana, non è un tipo di mindset culturale che esiste nella loro tradizione culturale.

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Il respiro, la nostra forza vitale

Parto da un estratto preso da uno dei principali testi di riferimento sullo Yoga universalmente riconosciuti, l’hathayoga-pradīpikā (Svātmārāma; XV secolo), che ho approfondito questa estate, e che espone in maniera estremamente chiara e diretta un concetto chiave:

Noi siamo il nostro respiro.

HYP 2.2

“Quando il respiro è instabile, la mente è instabile; quando il respiro è stabile, la mente è stabile e lo yogin raggiunge la stasi: perciò è necessario controllare il respiro.”

HYP 2.3

“Si dice che c’è vita fintanto che nel corpo c’è il soffio vitale; la morte è la sua fuoriuscita: perciò bisogna bloccare il soffio vitale.”

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Cosa vuol dire meditare

Questa estate ho letto alcuni libri per approfondire meglio il tema della meditazione. In particolare ho approfondito la scrittrice, poetessa e maestra di meditazione Chandra Livia Candiani, che, con il suo libro “Il silenzio è cosa viva” espone in modo molto immediato e diretto quello che per molti resta un concetto difficile da afferrare, ovvero: Cosa vuol dire meditare?

Spesso nell’immaginario comune la meditazione viene vista come un momento in cui tutti i pensieri vengono messi a tacere, dove si resta in silenzio, in uno spazio di vuoto mentale ed emotivo. Non potrebbe esserci nulla di più lontano invece, dal vero significato della meditazione, che credo si esprima al meglio con questa citazione tratta dal suo libro: …(continua)

Il modello del mito

In questi giorni sto leggendo un bellissimo libro di Krishnamurti che mi sta aprendo davvero tante porte di riflessione e introspezione, una in particolare che penso possa ispirare anche voi. Si tratta di un capitolo che riflette sul modello del mito.

Di cosa si tratta?Il modello del mito rappresenta il conflitto fra ciò che è e ciò che vorremmo che fosse, l’utopia, l’irreale, ciò che non esiste. Secondo questa considerazione infatti, di fondamentale importanza nella visione Yoga, l’elemento che ci porta alla sofferenza è il contrasto tra il reale e il mito, ovvero tra la realtà di ciò che siamo e quello che viviamo, e di ciò che vorremmo essere, o che ci immaginiamo dovrebbe essere, l’utopia. Il mito rappresenta un’evasione da ciò che siamo, un ideale, senza riscontro nella realtà…(continua)

Il riflesso di ciò che siamo

Questa mattina ascoltavo una conferenza di Krishna Das da cui mi è rimasto impresso un passo legato alla percezione che abbiamo del mondo in relazione ai nostri pensieri. In particolare, la riflessione evidenziava come la nostra visione delle cose e delle persone non sia oggettiva, ma rifletta ciò che noi siamo o pensiamo in quel momento. Ad esempio, se abbiamo una mente giudicante, crederemo che anche gli altri ci guardino in modo giudicante, presupponendo che tutti agiscano o pensino come noi siamo abituati a fare….(continua)

 

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