Lo spunto di riflessione di oggi parte da una bellissima intervista a Maty Ezraty, che è stata un’insegnante di Yoga visionaria, nonché discepola di K. Pattabhi Jois. Maty, in un passaggio dell’intervista, si sofferma su una riflessione brutale ma molto vera verso la popolazione occidentale e la differenza nei confronti  della cultura orientale e induista. Da questo lato del mondo noi siamo abituati a vedere noi stessi con uno sguardo autocritico, giudicante, colpevolizzante. Per noi è normale vedere noi stessi in modo negativo, trovare continuamente difetti, criticarci, non sentirci mai abbastanza. Ecco, questo non accade nella cultura indiana, non è un tipo di mindset culturale che esiste nella loro tradizione culturale. Questo è un punto critico anche nell’approccio alla pratica dello Yoga. In occidente dobbiamo insegnare e imparare ad amarci, accettarci e volerci bene. In questo senso anche la pratica dello Yoga viene trasformata, l’approccio diventa più morbido proprio perchè il punto di partenza è troppo duro.

Il lavoro fisico deve insegnare all’ascolto, del corpo ma anche della mente e delle emozioni. Per forza di cose la pratica tradizionale derivante da una cultura che non conosce questa mentalità deve essere trasformata quando viene adattata alla mentalità occidentale (e qui in particolare Maty si riferisce al rigore della pratica Ashtanga). In ogni caso, quello che mi sento di portare a casa da questa riflessione, e trasmettere a voi, è che la pratica fisica si deve adattare al singolo individuo (anche quotidianamente, in base ai cambiamenti interiori), perché ognuno ha diverse esigenze, fisiche ma soprattutto mentali, emotive. Chi ha bisogno di accertarsi, chi di stimoli per migliorarsi, chi di essere spronato per uscire dalla pigrizia e chi di essere accompagnato a rallentare. Tutto questo passa da una profonda consapevolezza di sè, di cosa abbiamo bisogno per vivere al meglio la NOSTRA vita, sulla base delle nostre proprie esigenze che derivano dal profondo, dalle sfide che ci troviamo ad affrontare ogni giorno, dalla nostra unica storia personale. Insomma, ci sono tantissime variabili, tutto passa tramite l’ascolto, per andare al raggiungimento del pieno potenziale individuale. Praticare le asana spesso ci porta ad un atteggiamento di competizione, con gli altri ma anche con noi stessi.

La chiave sta nell’imparare ad accogliere gli stimoli, per migliorarci e approfondire l’ascolto del nostro corpo e, tramite esso, delle nostre sensazioni più profonde, le luci e le ombre, imparando così ad affrontarle e a gestirle, senza che questi stimoli diventino un elemento in più con cui flagellarci.

Namastè

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